Non c’era nessun posto dove posare la testa che fosse confortevole come l’ignoranza. Che senso aveva posare la testa su qualcosa di duro e insopportabile come i documenti? Li avevo tolti da sotto il materasso e infilati nell’armadio sotto una coperta piena di polvere. Avevo spostato la storia fuori dalla mia visuale.

Agosto blu è come il mese di cui porta il nome: magico, misterioso, lento, caldo, profondo, nostalgico, che a volte risponde a domande mai poste.
La protagonista del romanzo è Elsa M. Anderson una pianista trentenne di fama mondiale che affronta il suo blocco interiore manifestatosi durante un suo concerto. Le sue dita, alla Golden Hall di Vienna, hanno smesso di suonare, il concerto viene interrotto e dopo questo avvenimento inizia il suo viaggio in Europa alla ricerca del suo doppio e di inconsapevoli risposte.
La cercavo nel pianoforte.
La cercavo nel cappello.
Cercare ovunque. Cercare ogni giorno
Elsa è una donna che non sa più chi è, nonostante tutto il mondo le ricordi cosa e chi deve essere.
In questo viaggio, in cui incontra persone nuove e parti di sé, affronta sé stessa e quello che trova è tutto il diritto a perdersi e forse ritrovarsi.
Ogni posto in cui vive: Atene, Parigi, Londra, Sardegna per brevi periodi, diventano delle tappe di crescita, scoperta, negazione, che lei attraversa con la sua diligente disobbedienza ed i suoi capelli blu; per raggiungere una meta che si fa fatica a capire quale possa essere.
La guida di questo viaggio è sempre la sua musica, perché ha un allievo ad attenderla in ogni città in cui andrà, musica che scandisce i tempi emotivi interiori di questo percorso della protagonista.
Ma noi eravamo lì per te, non per lui. Avremmo ascoltato qualsiasi cosa avessi suonato.
Elsa, in tutto il romanzo, sembra vagare, persa in un mondo in cui oggetti apparentemente poco significativi diventano mezzi per legami importanti e con una febbre dentro che la infuoca incontrollabilmente prosegue come una calma fuggitiva; fino in Sardegna dove si ricongiunge con il suo mondo: il suo maestro ovvero il suo padre adottivo, il suo pianoforte e la sua storia, facendoci ascoltare un amore profondo forte e delicato verso le sue origini, tanto quanto forte e delicato è l’amore che prova per il suo pianoforte; strumento imprescindibile senza il quale né il romanzo, né la vita della pianista sembra avere un vero senso.
Alcune domande non sempre incontrano le risposte ed in questo punto, Agosto blu smuove la coscienza del lettore e mostra cosa è la consapevolezza lasciando, al contempo, la bellissima sensazione di stare in un mare di incertezze, in cui l’ignoto sembra essere più necessario e paradossalmente più rassicurante.
Se l’amore potesse parlare, che voce avrebbe?
Un libro introspettivo intimo e coraggioso che mira alla verità, che rimette insieme i tasselli un po’ alla volta; un romanzo che mostra i frammenti di cui si è fatti e della forza che ci vuole per vederli e reggerli.
Ambientato nel post Covid, Deborah Levy, a pochi anni (di distanza è superfluo) dalla pandemia ci racconta un mondo nuovo che nessuno dei personaggi sa bene come e perché abitare.
Come facciamo a sapere le cose cose che sappiamo?
La sua scrittura inconfondibile e psicologica è velata, cela sempre un enigma che con curiosità e timore il lettore vuole vedere. Scoprendolo poi, non potrà far altro che restarne stupito ed incantato.
Un libro pieno di stratificazione umane, e laddove le parole non erano capaci o sufficienti a spiegare, Deborah Levy lascia farlo alla musica classica di Rachmaninov scrivendo quello che per me è il suo romanzo migliore.



